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CILAVEGNA – La ricostruzione attendibile dell’episodio vede la “matriarca” della famiglia, Carmela Calabrese, riunire marito, figli e generi intorno al tavolo nella stessa serata in cui Mohamed Ibrahim Mansour è stato ucciso, l’11 gennaio. Giovedì mattina i carabinieri del nucleo investigativo del comando provinciale di Pavia, comandati dal capitano Marco Quacquarelli e coordinati dal sostituto procuratore Andrea Zanoncelli, hanno eseguito una nuova ordinanza applicativa di custodia cautelare nell’alveo del procedimento penale per individuare gli assassini dell’egiziano di 43 anni. L’analisi dei dati di traffico telefonico – suffragata da dichiarazioni rese da soggetti informati sui fatti – ha confermato che, all’esito di una lite intervenuta nel tardo pomeriggio dell’11 gennaio, Carmela Calabrese, moglie di Antonio Rondinelli e madre di Claudio e Massimo Rondinelli, tutti di Cilavegna, tra le ore 19 e le 20 e 15 di quella serata, avrebbe diramato una vera e propria serie di convocazioni, convogliando tutti i familiari e dando così avvio alla serie di fatti che hanno condotto al decesso del cittadino egiziano. Pertanto, anche Carmela Calabrese giovedì mattina è stata tratta in arresto con l’accusa di concorso in omicidio, ed è stata sottoposta alla misura cautelare personale detentiva degli arresti domiciliari. Dunque rimane libera soltanto una persona: quella che portò in casa Mohamed Ibrahim Mansour. Oltre a Carmela Calabrese, è stato infatti arrestato anche Antonio Rondinelli, in carcere in quanto accusato anche lui dell’esecuzione materiale dell’omicidio insieme ai due figli Claudio e Massimo. Indagata risulta anche Elisa Rondinelli, sorella di questi ultimi. Daniela Rondinelli, l’altra sorella, è finora l’unica parente considerata estranea al delitto: lei che a 15 anni aveva partorito una bambina avuta da Ibrahim. Era il 2018. La famiglia della ragazza aveva deciso che papà, mamma e neonato stessero in un appartamento di loro proprietà. Scelta sbagliata in quanto la quotidianità era divenuta una sequenza di liti, anche violente, con la veloce fine della relazione tra Daniela e Mohamed, di origini egiziane. L’intervento e le valutazioni dei servizi sociali avevano innescato la decisione del Tribunale dei minori di allontanare la piccola da quella abitazione e trasferirla in una comunità. Mentre Daniela, oggi 20 anni, aveva lasciato l’appartamento andando a stare da un nuovo fidanzato e non risulta nemmeno indagata, Mansour non aveva chiuso il legame con i Rondinelli, e non soltanto perché aveva lavorato nell’azienda ortofrutticola di proprietà di Antonio: era convinto che se avesse trovato una nuova occupazione, redditizia e sicura, e una dignitosa residenza, il Tribunale dei minori avrebbe annullato il provvedimento ridandogli la figlioletta. Difficile pensarlo, ma l’egiziano ci credeva, motivo per il quale aveva avviato una pressione che sovente sfociava in violente discussioni con gli ex suoceri. Non gli bastava che gli avessero dato la possibilità di dimorare in quel capannone di Cassolnovo per occuparsi della vicina piantagione dei ciliegi: voleva l’intestazione di immobili e terreni. 
Certo sembra dalle indagini della Procura della Repubblica che l’11 gennaio Carmela Calabrese abbia convocato questa “riunione d’urgenza” per discutere dell’omicidio già avvenuto, o forse di come gestirlo. Il cadavere sarebbe poi stato ritrovato tre giorni dopo, carbonizzato dentro l’auto dello stesso Ibrahim, nelle campagne tra Vigevano e Gambolò. Oltre alla famiglia Rondinelli quasi al completo è coinvolto anche Luigi D’Alessandro, compagno di Elisa. Egli non avrebbe teso l’agguato al capannone di Cassolnovo dove l’egiziano (secondo l’accusa) è stato sorpreso e ucciso da Massimo, Claudio e Antonio Rondinelli a colpi di fucili da caccia calibro 12 e pistola calibro 9 che hanno centrato anche il viso, ma fornito supporto logistico, occupandosi del trasferimento del corpo sulla macchina e dello spostamento della vettura. Lo avrebbe confermato lui stesso al magistrato. I carabinieri e gli inquirenti si dicono certi della collocazione dei killer sulla scena del crimine. 
“Tali conclusioni giudiziarie – aggiunge la Procura – sono state tratte grazie ad una complessa analisi dei dati di traffico telefonico delle utenze in uso ai soggetti coinvolti, grazie all’impiego di cani molecolari per la ricerca di armi, esplosivi, tracce ematiche e resti umani del Nucleo Cinofili dell’Arma dei Carabinieri e infine grazie all’ imprescindibile impiego delle intercettazioni telefoniche, che hanno consentito di cogliere e cristallizzare scambi inequivocabili intervenuti tra le persone a vario titolo coinvolte”.