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Non riesco a trovare altre parole se non “Grazie”.
Grazie per avermi condotto per mano in questi 13 anni come vostro parroco;
grazie per tutte le occasioni che mi avete dato per servirvi anzitutto nell’eucarestia della domenica poi nell’abbondante semina della Parola di Dio e dei momenti lieti e tristi nei quali abbiamo guardato insieme al Signore Gesù risorto da morte;
grazie perché quando sono arrivato tra voi ero nel pieno della maturità della mia vita: mi avete chiesto di fare da padre, da fratello e da amico, da compagno di strada con la giusta pretesa di stare davanti facendo da apripista anche se io stesso cercavo di stare dietro al Signore Gesù: non so se sono riuscito in questi compiti che ogni comunità chiede al proprio Pastore, ma, credetemi, ce l’ho messa tutta.
Grazie per tutti quei momenti in cui mi avete chiesto di condividere con voi le gioie della vita: la gioia della nascita di un bambino, la richiesta di riconoscere che quel figlio o quella figlia non erano solo frutto del vostro amore ma anche dell’amore di Dio attraverso la celebrazione di 235 battesimi; la trepidazione dell’accompagnare nella crescita i vostri figli con quella paternità spirituale che avete sempre chiesto: ho avuto la gioia di dare in dono Gesù a 384 bambini nel sacramento dell’Eucarestia e di accompagnare 464 ragazzi a ricevere la conferma del dono dello Spirito Santo nella Cresima; ho spronato molti giovani a capire che è ancora attuale e bello amarsi come Cristo ama la sua Chiesa accompagnando all’altare nel matrimonio cristiano 58 coppie di sposi; mi sono fatto a voi vicino e - vi ringrazio di cuore - perché mi avete aperto le porte delle vostre case e avete condiviso con me la sofferenza di tanti nostri amici e parrocchiani che mi hanno insegnato - e cito uno di loro - che “il Signore non salva dalla sofferenza ma nella sofferenza”; quante confidenze ricevute, quanti consigli richiesti e dati quanti sproni e quante trepidazioni abbiamo condiviso nel dialogo delle vostre case, nel silenzio della preghiera, nell’abbraccio misericordioso del Padre durante il sacramento della penitenza; quante lacrime ho potuto asciugare, quante lacrime ho versato con voi e per voi; per tutto questo vi dico: grazie!
E ancora: grazie perché mi avete permesso di celebrare con voi la resurrezione di Cristo accompagnando all’ultima dimora 1239 fratelli e sorelle: ragazzi e giovani strappati dalla vita per un incidente o un male incurabile dove non ho voluto dare risposte al dramma che stavamo vivendo ma mi sono messo accanto a quei genitori sia nel silenzio sia con le parole che la Parola stessa di Dio sa raggiungere il cuore di ognuno; fratelli e sorelle che hanno combattuto nella sofferenza del corpo e dello Spirito: la maggior parte di loro mi ha insegnato che l’oro si purifica nel crogiolo della sofferenza, permettendomi di stare accanto a loro facendo tesoro di quanto mi hanno confidato; genitori costretti a lasciare i loro figli perché raggiunti da un male incurabile ma in nessuno di loro ho visto rassegnazione né tristezza o disperazione: alcune mamme, in particolare, mi hanno permesso di dire loro: “sarai vicino ai tuoi figli ancor di più perché sarai vicino al Signore”; ho sempre detto che la Madonna è vicino “adesso” mentre la preghiamo “e nell’ora della nostra morte”, certezza sussurrata ai parenti di chi non ha potuto salutare i propri cari perché raggiunti dalla morte improvvisa o strappati dal Covid; ed anch’io ho fatto questa dolorosa esperienza con mia mamma Pina e con mio fratello Flavio; grazie a quegli anziani che, carichi di anni, mi hanno insegnato che non c’è un’età superata la quale possiamo scampare il pericolo della morte e con dignità e senso di gratitudine si sono affidati alle mani di Dio, di quel padre che aspetta tutti nella sua dimora; grazie perché pregando il rosario tra le tombe del nostro cimitero ho potuto vedere - scorrendo quei volti e leggendo quei nomi - tutta la storia di santità che ha pervaso e accompagnato la nostra cara città, Mede.
Grazie perché vi siete fidati di me nell’amministrare tutto quel patrimonio artistico e culturale che c’è stato tramandato dai nostri avi.
Nel salutarmi un parrocchiano mi ha fatto questo elogio: “c’è una cosa da dire: in questi anni abbiamo visto dove sono andati a finire tutti i nostri soldi”.
Posso dire che, insieme ai vari collaboratori del consiglio per gli affari economici, abbiamo amministrato milioni di euro che si contano su due mani: lascio a voi immaginare la cifra.
Non riesco a pensare ad altre immagini se non a quella del dono: dono per tutto quello che ho ricevuto da voi e per tutto quello che ho cercato di fare con voi e per voi.
Voglio consegnare tre grandi doni a questa comunità, doni che ho anzitutto ricevuto da voi e che in parte ho potuto arricchire e dare senso e compimento.
Il primo dono si chiama liturgia: come si prega bene a Mede, come si canta bene a Mede, come si loda bene il Signore insieme a Mede.
Quanti chili di incenso ho consumato con voi a Mede, come è stata messa a dura prova la mia e la vostra ugola a Mede, celebrazioni lunghe e solenni a Mede, quanta cura nella liturgia a Mede, quante volte abbiamo pregato insieme Maria: le Novene, le celebrazioni presso la Chiesa degli Angeli nei mesi
di maggio e di ottobre, il mese mariano con la
preghiera del Rosario e la processione, l’affidamento dei nostri cari defunti nella Veglia funebre; porterò sempre con me i momenti
forti e di profonda fede vissuti con voi nelle settimane sante di questi anni: quanta fede, quanto amore, quanta gioia!.
Sono stato proprio edificato dalla vostra preghiera, anche quando vi sbirciavo dal confessionale o dal coro qui dietro all’altare mentre pregavate con l’intensità il Signore ed i nostri santi: grazie Mede.
Il secondo dono si chiama carità: Mede è famosa e conosciuta per tutte quelle associazioni e gruppi che cercano di alleviare il bisogno degli altri e anche - perché no - di fare festa e di creare comunità.
La carità, il farsi prossimo, erano già ben vissuti nella nostra comunità: ho soltanto voluto dare una struttura unitaria con l’acquisto della Casa della Carità ma soprattutto creare una rete di volontari e credenti che potessero tenere desta e viva nella nostra comunità l’attenzione per l’emarginato, il povero, il bisognoso, l’affamato con quell’attenzione alle nuove forme di povertà che - ahimè - riguardano anche la nostra comunità: la piaga dell’alcolismo, del gioco d’azzardo, della separazione e della indifferenza.
È stato bello affrontare insieme l’avventura della Casa della Carità che proprio quest’anno compie 10 anni di vita e del centro di aiuto al suo sesto anno di presenza: è stato entusiasmante creare una rete di rapporti e di dono con tutti quei volontari che, ne sono certo, continueranno anche dopo di me e senza di me l’esperienza del dono ricevuto e offerto “con un sorriso e con un grazie” (cito le parole scritte sul fregio della Casa della Carità). 
Grazie ai volontari che si sono messi in gioco a qualsiasi età, che hanno saputo coinvolgere parenti e amici; ormai in tutta la città è nota questa struttura fatta più di persone che di ambienti perché a noi sta a cuore il farsi prossimo, “il piangere con chi è nel pianto e gioire con chi è nella gioia”.
Grazie anche ai medesi che si sono aperti alla logica del dono mettendo da parte la logica dello scarto; grazie a chi parla con stima e con gratitudine a ciò che sta facendo la Casa della Carità della nostra città e nella nostra vicaria.
Grazie al signor sindaco ed all’amministrazione per quel rapporto di scambio e di collaborazione che c’è da qualche anno per l’iniziativa chiamata “non di solo pane” che dà lustro al nostro territorio.
Alcuni volontari ed alcuni assistiti hanno già raggiunto la casa del Padre: intercedano per noi presso Dio. 
E l’ultimo dono che voglio parteciparvi lo esprimo con una parola che ho sempre sulla bocca: “che gioia”, non poteva mancare in questo saluto. Mi sembra di essere stato tra voi e con voi un prete gioioso e contento: è quanto mi ha chiesto il vescovo Giovanni nel giorno della mia ordinazione 28 anni fa dicendomi che “vale di più un prete gioioso che cento preti musone”.
È la gioia di chi sa che la vita è un dono ed un servizio: ce lo ha ricordato anche la Parola di Dio di quest’oggi: “siamo servi inutili”, siamo servi che non cercano il proprio utile; è la gioia di chi continua a dire al Signore: “eccomi”, anche quando lo strappo dagli affetti, dalle abitudini e da questa casa (sì, Mede è e sarà la mia casa) è doloroso; è la gioia di chi continua a dire alla santa Madre Chiesa nella persona del vescovo Maurizio: “eccomi”: perché non mi ha mandato via da Mede ma ho detto di sì a quella forma di vita che è disponibilità a saper vedere anche nel cambiamento di un luogo e nell’avvicendamento di un parroco la premura di Dio che sa provvedere ad ogni comunità un pastore e sa dare ad ogni pastore una comunità da servire; ho voluto vivere così la richiesta del vescovo Maurizio che tra l’altro mi è stata fatta in un luogo dove non potevo dire di no: vi ricordo che l’obbedienza mi è stata consegnata mentre ero a Lourdes durante l’ultimo pellegrinaggio diocesano.
È la gioia di chi sa che lascia dei fratelli che ha amato per incontrare altri fratelli da amare ed è per voi la gioia di lasciare andare un fratello che avete amato e di accogliere un fratello da amare.
Ringrazio chi ha preparato questo momento di saluto e di festa (chiedo un applauso, grazie): so delle riunioni fatte, del tempo offerto, delle idee condivise, del lavoro svolto insieme: forza, siete a metà delle vostre fatiche: Don Giacomo vi attende!
Ringrazio i miei confratelli con i quali ho vissuto questi 13 anni: don Antonio, don Christian, ed ora don Giorgio e don Alessio: ci vogliamo bene, le nostre differenze sono la nostra ricchezza, le nostre fragilità sono la nostra forza, la nostra stima e la nostra dedizione ha permesso di volerci bene e di dare testimonianza che è ancora possibile ma soprattutto entusiasmante e bello dare la nostra vita al Signore e alla Chiesa nella vocazione sacerdotale: e ben lo sanno don Andrea  e don Paolo che abbiamo avuto la gioia di accompagnare a questo altare.
A don Giorgio dico: avanti in Domino: la tua disabilità è solo accertata dall’Inps, non dalla nostra comunità che vede in te disponibilità al tuo prevosto e passione per questa gente, che ogni tanto sgridi; sono certo che il rosario tra le tue mani è segno di affetto per ognuno di noi perché ogni “Ave Maria” porta un volto ben preciso o una grazia da noi a te affidata da chiedere all’Ausiliatrice: grazie!
A don Alessio dico: avanti con coraggio perché sei solo agli inizi di questa bella avventura.
Ho sempre apprezzato di te l’amore per l’ordine e la precisione, oltre che del luogo in cui sei chiamato a vivere, l’oratorio anche nelle nostre chiese soprattutto per la chiesa della Trinità: la tua disponibilità, la dedizione al confessionale ed al lavoro sin nei piccoli particolari: continua a volermi bene anche se non dovrai più tribolare per me.
Ringrazio il signor Sindaco e l’amministrazione comunale anche oggi qui presente: posso dire che c’è sempre stata tra noi collaborazione, rispetto, sintonia e passione nel servire questa nostra città: non posso non citare tra le tante forme di collaborazione l’hub vaccinale in oratorio e la convenzione già citata con la Casa della Carità: sono certo che anche don Giacomo potrà fruire e gustare queste stesse realtà.
Ringrazio per il dono della cittadinanza onoraria che suggella quel legame inscindibile che porterò sempre nel mio cuore con questa comunità.
Ringrazio in particolare lei, Giorgio, per la vicinanza nei tre mesi in cui sono stato ricoverato in ospedale a Vigevano: non è mancata la giusta informazione ai cittadini sul mio stato di salute e la vicinanza in quel momento di dolore personale e comunitario: infine so cosa voglia dire molte volte tacere dinanzi a fatti compiuti o attribuiti o letti in modo distorto rispetto alla realtà sopportando a volte anche calunnie, per il bene comune.
Un ultimo grazie alle mie nipoti Giulia, Chiara e Ilaria ed al piccolo Bryan: è strano avere uno zio prete ma non è da tutti avere uno zio don: grazie della vostra presenza e della vostra accettazione di questi cambiamenti che fanno parte della mia e vostra vita: io ci sono e ci sarò sempre.
Le difficoltà del tempo presente ci insegnano che nessuno è esente da incomprensioni, malintesi, vicende che la vita non risparmia né ad un prete né alla famiglia di un prete: leggiamo così alcune assenze: mai disperare, e sempre cercare il dialogo e la stima tra noi. 
Non sono presenti nonna Pina e mio fratello e vostro papà Flavio: insieme alla carissima nonna Elena, ed ai nonni Mario e Luigi che non avete conosciuto, fanno il tifo per noi perché possiamo mettere in pratica i loro insegnamenti e desiderare un giorno di stare per sempre con loro nella gioia del Paradiso.
Riesco invece a consegnarvi un ultimo monito: avanti con coraggio nel seguire insieme a don Giacomo la volontà di Dio. 
Pertanto vi chiedo anche di non venire subito a trovarmi a Cava Manara: affezionatevi a don Giacomo come avete aperto subito il cuore a me. 
Con san Giovanni Crisostomo affermo:
Ripeto sempre: «Signore, sia fatta la tua volontà» (Mt 26, 42). Farò quello che vuoi tu, non quello che vuole il tale o tal altro. Questa è la mia torre, questa la pietra inamovibile, il bastone del mio sicuro appoggio. Se Dio vuole questo, bene! Se vuole ch’io rimanga, lo ringrazio. Dovunque mi vorrà, gli rendo grazie. Dove sono io, là ci siete anche voi. Dove siete voi, ci sono anch’io. Noi siamo un solo corpo e non si separa il capo dal corpo, nè il corpo dal capo. Anche se siamo distanti, siamo uniti dalla carità.
Voi siete i miei concittadini, i miei genitori, i miei fratelli, i miei figli, le mie membra, il mio corpo, la mia luce, più amabile della luce del giorno. 
Grazie, Mede.
Vostro, 

don Renato